28 luglio. Ore 7.18. Quaranta milioni di metri cubi di
montagna – il monte Zandila – precipitano sulla Valdisotto,
devastano, risalgono anche il versante opposto.
In pochi minuti vengono completamente distrutti gli
abitati di Sant’Antonio, Morignone, Piazza e Aquilone.
La “frana del Pizzo Coppetto” (così viene ricordata, tra
gli altri eventi di quegli undici tragici giorni) crea uno
sbarramento alto 50 metri e blocca il flusso dell’Adda:
una diga naturale che lasciava presagire un oscuro
futuro per la valle e i suoi abitanti. Il livello della acque
del lago saliva infatti di 2 cm all’ora, con picchi di 20 cm
l’ora alla fine del mese. La scelta della “tracimazione controllata” evitò ulteriori
tragedie.
Fino a qui la cronaca. Parlate però con gli abitanti: vi
racconteranno dell’impotenza di fronte a una montagna
che ami ma che corre più di te, della chiesetta di
San Bartolomeo miracolosamente risparmiata dal fiume
di terra e rocce, di una Valle che il giorno dopo si rimette in
piedi e rinasce. Con un delicato pensiero ai bambini di
Aquilone, come scrive don Remo Bracchi in una toccante
poesia: “Cercheremo nel cielo grappoli di stelle, lassù dove
nessuno le potrà mai cogliere dai loro tralci, cercheremo le più
luminose, per assegnare a ciascuna di esse il vostro nome”.