“L’estrazione della pietra molle atta a formare tegole si fa
colla luce artificiale prodotta colla combustione della teja
coll’uso della mina….”. In un documento d’archivio viene
così spiegata la tecnica utilizzata a metà del 1800 per l’estrazione del
serpentino. La Valmalenco può essere a tutti gli effetti considerata
la valle della pietra per antonomasia. Già oltre 1000 anni fa i
valligiani si accorsero della straordinarietà della pietra locale, dal
colore verde grigiastro e sfaldabile in lastre che potevano essere
utilizzate per lastricare strade e coprire tetti. La cava più antica in
cui questa pietra, il serpentinoscisto, veniva estratta era quella
del Giovello, zona così detta per la forma della montagna in quel
punto, quella di un giogo. Le singole cave presero a loro volta il
nome di “giovelli”. Ad oggi le antiche cave del Giovello non sono più
attive, a causa dell’elevato grado di sfruttamento e quindi dell’instabilità della montagna.
La roccia serpentinosa viene tuttavia estratta sul versante opposto della montagna
e rimane questa un’attività economica fondamentale per la valle. Non solo
serpentino, però. “La préda del Perlu l’è fina, ma quela del Crap del
Giumelin l’è soprafina”. La pietra “sopraffina” è quella ollare, dalle caratteristiche
uniche, dalla grande morbidezza, resistenza, conduzione termica, rara e
preziosa; da secoli viene cavata per la produzione di stoviglie e
“lavecc”, le tradizionali casseruole per la cottura dei cibi.