È Febbraio. Una coltre di neve ricopre i campi di
Aprica, concedendo riposo alla terra. Uomini, donne e
bambini, partendo dalle diverse contrade (S. Pietro, Dosso,
Mavigna, S. Maria, Liscidini e Liscedo), percorrono i sentieri
con “bronse” e “sampogn” richiamando la Primavera e svegliando l’erba.
Il suono dei campanacci scuote tutto il paese che festeggia gustando
il “mach”, piatto tipico di questa giornata, composto da polenta e
salsicce. Le ragioni di questo antico rito folcloristico sono da ricercare
nella storia stessa di Aprica, che fin dai tempi antichi era dedita
prevalentemente ad attività del settore primario, in particolare la pastorizia.
L’avvento della Primavera era, ovviamente, provvidenziale per
l’economia del paese che, grazie alla ricrescita dell’erba, poteva
ricondurre gli armenti al pascolo, legando al collo dei bovini i
campanacci, raggiunte le malghe di alta montagna.
Per tre giorni, canti e musiche risuonavano nel paese e nelle
contrade: arriva la Primavera. Oggi questa ritualità è più che
mai viva, una vera grande festa che richiama ad Aprica anche
abitanti di altri paesi e turisti. La tradizione del “Sunà da Mars”
sopravvive anche in altri paesi di Valtellina, di Valchiavenna e
dell’alto Lario; con modalità molto simili si compie il rito del
“ciamà l’erba”, chiamare l’erba per risvegliarla dal sonno dell’inverno.